martedì 29 marzo 2011

I Piani Regolatori della città di Como dall’Unità d’Italia ad oggi. E domani? Un centro storico senza più cintura di castità!


"Abbiamo levato la cintura di castità al centro storico"
Se si volesse badare al sodo anzi ai soldoni, si potrebbe sintetizzare così, con questa  colorita affermazione  del Prof. Paolillo, coordinatore scientifico del nuovo PGT , la cifra  del Convegno “I Piani regolatori della città di Como dall’Unità d’Italia ad oggi. E domani? “ svoltosi il 17 marzo, a Como presso la Sala Turca del Teatro Sociale, ma  non sarebbe corretto e farebbe torto all’esito   complessivo dell’incontro che la Confedilizia ha voluto, come detto in apertura dal suo presidente, Avv Bocchietti,   per tentare di colmare un vuoto di informazione sull’evoluzione del PGT .
Il Convegno è stato, infatti, ricco di contenuti e non poteva essere diversamente visti i relatori: Chiara Rostagno, funzionario della Soprintendenza per i  Beni Architettonici e Paesaggistici di Milano già autrice di uno studio in due volumi sui Piani regolatori di Como; l’Avv. Lorenzo Spallino, docente di diritto urbanistico ed il Prof. Paolillo  ordinario di urbanistica al politecnico di Milano e,ora, gran sacerdote del redigendo PGT.
Dopo il  sindaco Stefano Bruni,  che saluta e ricorda che il PGT è uno strumento urbanistico completamente diverso dai vecchi piani regolatori, e ribadisce che questo sarà un Piano nel segno della sostenibilità, il dott. Longatti , apre ai relatori non prima però di aver posto l’accento sul fiorire in qs anni, di idee, anche singolarmente valide ( il campus universitario su tutte) ma non legate in un disegno coerente, quel disegno che ora si attende che emerga e che spieghi i principi su cui si basa il nuovo piano del governo del territorio.
Sono chiari invece, nell’esposizione della dott. Chiara Rostagno i principi che hanno mosso i precedenti piani, quelli che vanno dall’Unità d’Italia agli anni 60 del 900, giusto un secolo, su cui si sofferma e di cui traccia  la  relazione con la Storia, a partire da quello del 1864, ad unità d’Italia appena avvenuta quando anche i cittadini di Como si chiedono quali monumenti erigere in onore dei Reali, volendo essere Como una città regia sì ma con  il legittimo desiderio di configurarsi al contempo come città moderna, e scelgono, con il progetto Carminati di non erigere archi trionfali ma costruire opere utili come la nuova arteria che connetterà  due punti forti della città: il Porto, allora luogo di incontro  e scambio con l’alto lago e le regioni a Nord  e Porta Torre, la porta che volge verso  Milano.  Dopo  questo primo intervento, mentre la città incominciava ad espandersi verso oriente, con i quartieri borghesi intorno a via xx settembre, il viale della stazione, perno della viabilità futura e della città giardino che si espandeva e diventava adeguata alle nuove richieste di vivibilità,  seguirono,  opere, etiche ancor prima che estetiche, di ingegneria sanitaria, Le nuove ed aumentate richieste di vivibilità si concretizzeranno successivamente con la creazione di un parco pubblico a lago, lago che diventa, così come il nuovo verde pubblico,  luogo estetico aperto a tutti e non più solo riservato alle grandi fortune che risiedevano in villa con darsena. Il grande tema della riqualificazione interna della città continua ad essere presente   nei piani dei decenni successivi per  poi concretizzarsi pienamente, con la demolizione de la Curtesella" nel piano del '37 vincitore del concorso per un Piano regolatore, un   momento straordinario nella storia di Como che le parole della dott. Rostagno ben rendono. “8 giovani architetti  che stravolsero il destino della città e dell’architettura  italiana: il  gruppo CM8, otto  ragazzi che si chiudono in 2 capannoni a lago e guardano con coraggio e disinvoltura la città, riservano al centro storico la cura del cesello …. Pensano una città che guarda fuori, una città nella città dentro e fuori le mura, preserva il centro storico e trova spazio per la modernità ma con contatto, la città definita per stratificazioni , una città ampia che supera i suoi confini amministrativi”.
Seguirono poi la variante del 1952 ed un  nuovo piano nel 1967 che ricalcava i  precedenti piani che si erano  presi carico della città e del suo sviluppo. Purtroppo il piano del 67 segnò una sconfitta, perché dopo un difficile travaglio venne stralciata ogni previsione per il centro storico.
La dott. Rostagno ferma a cinquant’anni fa il suo excursus sui piani regolatori di Como, troppo vicini ed attuali i successivi perché lo storico possa leggerli con il dovuto distacco.
E’ al contrario tutto incentrato sul presente, in particolare sui criteri ispiratori della L.R. 12/2005 e principi generali nella redazione dei PGT, l’intervento dell’Avv. Spallino che trovate integralmente  qui 

A sua volta, Il Prof Paolillo, non delude le attese e subito entra nella pancia del Piano, un Piano  con poco cibo perché  il Comune non ha una lira e lui ha dovuto acconciarsi a chiedere agli studiosi e ad alcuni professionisti, di cercare tra i loro saggi, e che glieli mandassero così che potessero essere inseriti come approfondimenti al Piano, un PiGTche ci ricorda, costa un terzo del costo stimato dagli ordini professionali per un lavoro  così complesso. Spiega poi che il Piano è a tutti gli effetti il Piano dell’Arch. Cosenza e che è infernale per durezza e preveggenza, ma concorda con l’Arch. sulla necessità  che il  Piano sia parsimonioso, che eviti di mettere mano alle risorse fisiche, al suo paesaggio. Ci spiega il Professore  che si è chiesto dove avrebbe potuto esercitare il proprio ludibrio … ahimè su ben poca parte del  territorio comunale, un piccolo 5% e per di più su un territorio gravato da ben 29 vincoli! Tra una digressione e l’altra, sull’urbanistica onnipotente degli ultimi quarant’anni e sulla città dispersa versus la città compatta, figlia della tradizione lombarda, il prof. Paolillo ci informa che ha dedicato ben 600 pagine alla città murata, migliaia di files, da cui ha tratto ipotesi che non può sviluppare  al momento ai presenti, ma anticipa che in città murata  sono 5previsti  gradi di “interventibilità”, ma non sono apodittici ed afferma che “ha levato la cintura di castità al centro storico” ma rifiuta che si dica che sta scardinando la città. Al contrario ogni progetto presentato dovrà avere in sé un alto grado di definizione e motivazione.
Aggiunge poi che questa città è da trasformare, rivitalizzare, incentivare, deve attrarre capitali e non essere parassita e che se questa città non avrà una reazione di orgoglio non saranno né le norme né i vincoli a far sì che ci si riesca. Fra due mesi il Piano sarà finito.
I consiglieri Saladino e Iantorno  chiedono poi ragguagli sulle periferie e lamentano lo scarso coinvolgimento della città nell’elaborazione del Piano, mentre l’ex assessore Rallo, si compiace dell’impronta liberale che avrà questo nuovo strumento ma dichiara tra il brusio dei presenti, che gli attuali consiglieri non sono in grado di approvare questo Piano perché non lo capiscono.

6 commenti:

nsu prinz ha detto...

Quando Rallo salirà in cattedra a spiegarci l'Urbanistica avvisatemi che ci voglio essere. Questa città soffre anche perchè normalizza che un panettiere possa spiegare l'arte del filettar il persico. Poi soffre per una viabilità che conosciamo benissimo. Poi soffre dell'assenza di un libro bianco, spaccata in due come una mela: chi della sussidarieta ne stà facendo business, chi la subisce. Poi soffre di crisi identitaria, calamitata da una poco chiara e motivata esigenza d'espansione con annebbiamento sulle potenzialità di ciò che ha. Poi soffre della sindrome della procura in bianco, delega per pigrizia con risultati nefasti senza peraltro guadagnarci un tubo. Credo valga la pene arginare un po' le voglie e le visioni dei contemporanei e privilegiare una strutturazione più a misura della città dei ragazzi, tra una urbanizzazione a venire se posso dire la mia, la vorrei allegra, soliva, dove la profondità di campo abbia un ruolo d'eccellenza in virtù del fatto che madre natura ci ha dato panorami mozzafiato. Un vincolo d'altezza è auspicabile, la salvaguardia del suolo intesa come i PA fa cascare le braccia, salviamo il metro quadro verde ma creiamo mostri sbilenchi alti 30 e passa metri. Bei pirla. Un po' come andare nel centro storico di Sormano e ficcarci dentro una bella palazzina di 4 piani. So che è difficile accontentare tutti. Se scelta però va fatta, e se si vuole per davvero guardare avanti, si faccia la città ragazza. Una sbarbina, che di petulanti babbioni in vestaglia che si lamentano perchè in strada alle ore 23 c'è qualcuno che ride al di sopra della soglia della sua tolleranza, ne abbiam piene le tasche.

Lorenzo Spallino ha detto...
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nsu prinz ha detto...

Una raccolta delle migliori energie su una bozza aperta di testo è poesia, mò vediamo il grado di cultura residente, e se reagisce. E per cultura intendo la capacità dei saggi di essere coraggiosi. Mi sembra di capire che la proposta di Lorenzo confermi l'esistenza di spazi di manovra in tal senso, che non è scritto sulla pietra che si debba solo recepire "l'altro" modus schisci e muti. In fondo una città dovrebbe poi essere di tutti e non basta "osservazioni" per un ascolto della collettività, che sarà distratta, occupata a sopravvivere, ma non stupida. Lì risiede una fregatura.

Anonimo ha detto...

Ascoltando il prof. Paolillo al Convegno, mi chiedevo se il futuro PGT, ed in particolare il Piano delle regole, sarà comprensibile e chiaro oppure da interpretare... contrattare... !
Io ritengo invece che un piano delle regole di PGT ben redatto debba consentire a chiunque di consultarlo, anche da internet, e capire cosa è possibile e cosa non è possibile fare! ... senza dover interpretare nulla.

L'idea di una "bozza aperta di testo" prima dell'adozione è un'ottima idea e riflettendo sarebbe in perfetta sintonia con la PARTECIPAZIONE ribadita più volte nella L.R. 12/2005.

Anonimo ha detto...

Mi piacerebbe capire se con questo PGT continuerà l'andazzo degli ultimi anni, con il consueto consumo di territorio, che ha visto la trasformazione di aree dismesse in zone residenziali quasi disabitate. Pensare che il lavoro sia solo quello delle imprese edili è una grande miopia nazionale, perchè il valore vero sta nei beni di qualità che sono prodotti sul posto e si possono scambiare periodicamente, al contrario del mattone-bene rifugio. Se gli spazi sono destinati a laboratori artigiani o comunque a luoghi del lavoro, negozi, non solo di scarpe però, e spazi ricreativi come cinema e bar, la città torna a vivere. Se tutto verte invece sul fare quartieri dormitorio o orrendi capannoni non ci siamo. Quei parallelepipedi dal gusto atroce non sono esempio nè di architettura nè di ingegneria: si chiamo semplicemente speculazione e mafia

GR

Lorenzo Spallino ha detto...

Cosa distingue un processo decisionale corretto da uno non corretto? Non l’esito, perché sappiamo che entrambi possono avere esiti disastrosi. Se però i primi hanno sempre aperta la finestra di esiti positivi, i secondi hanno la certezza di esiti negativi. Cosa ho compreso dalla relazione del prof. Paolillo? Che il PGT costituirà, come è giusto, un elemento di rottura rispetto al PRUG e che l’Amministrazione si prepara a gestire il processo di approvazione secondo lo schema tradizionale adozione + deposito + osservazioni + controdeduzioni + approvazione. Questo percorso porta con sé, proprio perché non riesce a comporre in via preliminare le tensioni con la città, un ultimo passaggio obbligato, che è quello dei ricorsi al TAR. Aggiungo, premettendo la stima e la simpatia per il professore, che nell’anno di grazia 2011 mi riesce davvero difficile credere che si possa ancora pensare di affidare la stesura delle norme tecniche a un architetto. Vuoi perché sono, per l’appunto, norme, vuoi perché le tecniche di drafting normativo si sono ormai standardizzate (ma bisogna conoscere gli standard), vuoi, infine, perché l‘analisi di sostenibilità della norma va effettuata a valle, non a monte. La proposta che ho fatto è quella dei call for paper, ossia della raccolta delle migliori energie su una bozza aperta di testo. Spero di sbagliarmi, ma temo che un piano con un percorso come quello che si prefigura porterà a uno strumento urbanistico con un elevato grado di conflittualità e, quindi, non solo poco gestibile ma, soprattutto, poco efficiente. Infine: se é vero che la legge non obbliga le amministrazioni locali a produrre piani ispirati ai criteri di sussidiarietà, adeguatezza, differenziazione, sostenibilità, partecipazione, collaborazione, flessibilità, compensazione ed efficienza, ciò non significa che non possiamo almeno provarci.

 
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