Como rischia di trasformarsi in una "ex città"
Ci sono di sicuro molti comaschi interessati a sapere cosa mai ne sarà esattamente del vasto spazio coperto di detriti dell'ex Ticosa, molti altri vorrebbero sapere che fine farà l'ex San Martino e sicuramente se ne troverebbero di interessati al futuro di quello che ormai - a misura che crescono le strutture del nuovo ospedale - si può chiamare ex Sant'Anna. Tutti, però, sono certamente curiosi di sapere (e magari di discutere?) il destino che si va prefigurando per Como, prima che il moltiplicarsi esponenziale degli "ex" condanni questo contesto urbano ad essere definito "ex città". C'è stato un tempo in cui le scelte fondamentali di programmazione urbanistica rappresentavano il nocciolo dell'azione politico- amministrativa locale e venivano assunte, assai faticosamente, dopo un serrato, aspro confronto pubblico fra maggioranza e opposizione, che proponevano ognuna una propria visione generale, dalla quale dovevano discendere gli strumenti operativi in base ai quali gli interventi concreti potevano o non potevano essere effettuati. Il sistema non metteva al riparo la collettività dalla possibilità di abusi, ma questi eventuali abusi potevano, con una certa facilità, essere individuati e in qualche caso perfino repressi. Oggi le cose sono profondamente cambiate. Al punto che c'è da chiedersi se abbia ancora un senso interessarsi seriamente di urbanistica o - che è lo stesso - interrogarsi sul futuro di una città che cambia certamente, ma in quale direzione, con quali obiettivi, secondo quali modelli è quasi impossibile, e comunque certamente difficilissimo, dirlo. Che questa non sia una visione dettata da un pessimismo eccessivo o da un preconcetto negativo è facile rendersene conto. Basta una passeggiata in città: magari lungo quella via Paoli sulla quale si moltiplicano insediamenti residenziali che non è facile capire da chi - visto l'andamento delle compravendite d'immobili - saranno occupati. Alternativamente, ci si potrebbe chiedere che fine fanno, invece di essere impiegate per la realizzazione delle infrastrutture aggiuntive necessarie, le somme (ingenti) pagate a titolo di oneri d'urbanizzazione. Ma, se si volesse tagliare la testa al toro e convincersi che non sono questi i tempi giusti per occuparsi di urbanistica e del futuro della città, basterebbe riflettere sulla vicenda che riguarda il riutilizzo dell'area della Napoleona dopo che l'ospedale sarà trasferito nella nuova sede. Non affliggerò nessuno con il riassunto - necessariamente complesso, tortuoso, per molti versi sconcertante - delle puntate precedenti. Mi limiterò a chiedere - ovviamente a me stesso, visto che ci sono Palazzi ciechi e sordi alle porte dei quali è inutile bussare - se l'area in questione va valutata esclusivamente come risorsa da vendere al prezzo maggiore possibile per ottenerne un introito indispensabile al parziale finanziamento del nuovo nosocomio, oppure se essa costituisce un patrimonio della città da utilizzare al meglio, secondo un disegno coerente a quello che si ritiene sarà in futuro l'interesse collettivo. In questo secondo caso, mi piacerebbe sapere in quali sedi se ne è discusso, quando, da parte di chi, quali diverse opzioni valutando. Certo, in questa fase può apparire essenziale l'obiettivo di realizzare nei tempi previsti l'ospedale nuovo. A questo risultato possono essere sacrificate molte altre esigenze. Ma non tutte. In particolare non quella di una trasparenza assoluta del processo che decide le sorti di un pezzo importante di città sul quale grava l'ombra di troppi interessi. Tutti legittimi, forse, ma non tutti dichiarati.
Antonio Marino
Videointervista ad Anne Zell
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